Ultima modifica: 21 Marzo 2018

Anno scolastico 2016_2017

Milano, li 18.05.2017

I seguenti alunni sono risultati vincitori del Concorso di Poesia “Ettore Barelli”

 

Prima classificata Catherine Hames 2 H Sugar-Coated
Secondo classificato Amr Kassem 5 H Cuore a giro
Terza classificata Laura Montinari 4 I Esisto

 

Hanno ottenuto una segnalazione della giuria, le poesie dei seguenti alunni:

 

 Segnalata Virgilio Ghilardi 5 I Lettera a un pittore
 Sagnalata Lorenzo Ferrara 4 C La tratta dei bianchi

 

I seguenti alunni sono risultati vincitori del Concorso di Narrativa  “Ettore Barelli”

 

Primo classificato Alessandro Diana 2 I Il dolore e la speranza
Secondo classificato Lorenzo Ferrara 4 C Metamorfosi
Terza  classificata Francesca Minola 3 I L’ultimo atto

Le premiazioni avverranno  mercoledì 7 giugno alle ore 10.15 in auditorium .

 

Vincitori del concorso di Poesia

1°  “Sugar-Coated”    – Catherine Hames, 2 H –

“Chase your dreams” Mother said

“Don’t just sit there get out of bed!”

“The world is your oyster” Father said

“Dreams aren’t meant to just sit in your head!”

These are words I recite at night

with hopes that they just might

be right

 

I turn to my friends when I sit at school

we have no idea, no not at all

thoughts of our future dance in our souls

sugar-coated, unachievable goals

 

Attending college feels years away

I graduated back in May

I would do anything to bring back that day

things nowadays don’t seem to go my way

 

bad luck, “Not today!”

try again, “You’ll be okay!”

six months fly,

my dreams die,

jobless, hopeless, why do I try?

 

Five years later down the line

I finally got my chance to shine

everything feel just fine

…just fine? Just fine?

Even though these dreams are mine?

 

Was what I wanted what I got?

Or what I wanted was it not?

These dreams I captured in my hands,

the ones I wrote time in time into my plans

sit so uncomfortably

they don’t feel a part of me

is success enough to make me happy?

 

I used to turn to my friends when I sat at school

we had no idea, no not at all

thoughts of our future danced in our souls

sugar-coated, unachievable goals.

 

2°”Cuore a giro”     – Amr Kassem, 5 H –

Il mio cuore è

una punizione a giro

sembrava un tiro sbagliato

poi ha visto i tuoi occhi

ha sterzato nell’aria

e si è infilato all’incrocio.

E ora è felice

 

3° ” Esisto” -Laura Montinari, 4 I –

Io non so chi sono,

dove sono,

perché esisto.

Non ho certezze.

Intorno a me vedo soltanto infinito;

non una luce,

non una speranza.

Solo il nulla.

Dentro di me il vuoto totale;

rimbomba l’eco disperato di chi è perduto.

Un peso mi opprime, mi schiaccia e poi

mi distrugge;

il rumore cessa.

Io so che esisto.

Ora sono ciò che ero in principio.

 

Vincitori del concorso di narrativa

” Il dolore e la speranza”    – Alessandro Diana, 2 I –

La notte era meravigliosa. Le stelle luccicavano ammalianti, come pietre preziose disseminate su un velo nero. Avvampavano ardenti, sopra e sotto di lui. Erano ovunque. Si teneva la testa fra le mani, aggrappandosi con le gambe atrofizzate alla sua ancora di salvezza. La sete tormentava la sua gola, sembrava che un tizzone lo ustionasse dall’interno. E poi c’era la fame. Non aveva mai provato una fame così. Eppure era abituato alle privazioni più dure. Un vuoto, un abisso occupava il suo stomaco. La bocca era secca, arida come le steppe. Gli occhi erano spalancati, le pupille ondeggiavano, ritmiche, come un vecchio pendolo, unico segnale di vita. Vedeva, tutto intorno a lui, il mare a perdita d’occhio, e la sete tornava a farsi sentire, ancora più forte.

Nonostante la sofferenza fosse intollerabile, gli pareva di trovarsi in paradiso: il buio era una benedizione, la notte era una tregua. Il ragazzo aveva paura che finisse. Che tornasse a splendere il sole, in alto nel cielo, impietoso e incurante verso il suo dolore. Verso il dolore di tutti i poveri sventurati ammassati sulla barca. Due giorni. Erano partiti dalle coste libiche solo due giorni prima. Sembrava fossero trascorsi secoli. Quello era l’unico pensiero razionale che attraversava la sua mente provata.

E poi c’erano le immagini. Erano tante, ricordi, sensazioni, emozioni che si accavallavano. La voce tenera di sua madre, mentre lo salutava, le sue braccia amorevoli che lo stringevano in un ultimo abbraccio, mentre gli augurava buona fortuna, con le lacrime agli occhi. Gli comparve davanti il deserto, meraviglioso e splendente nella sua dorata semplicità. C’era la sabbia che volava e volteggiava mentre la jeep, stracarica di persone, arrancava tra le dune. Infine c’era la barca: quando l’aveva vista per la prima volta, gli era sembrata troppo piccola, cadente, fatiscente. Ricordava di aver pensato che un tale rottame sarebbe sicuramente colato a picco. La tempesta gli aveva dato, suo malgrado, ragione.

Il sole li aveva accompagnati a lungo mentre fluttuavano sulle onde, ma, in seguito, era sparito, inghiottito dalle nubi, grigie, nere, gonfie e rabbiose. La scena riluceva ancora nella sua mente, illuminata a sprazzi dalla luce violacea ed intermittente dei fulmini. La pioggia cadeva, fitta, fredda, si infilava sotto i vestiti, gli grattava la schiena con unghie gelide e affilate. I tuoni roboanti scuotevano il cielo. Il pavimento scivoloso sotto i suoi piedi vibrava. Le onde si alzavano, fragorose, urtando poderosamente lo scafo. Il vento urlava, filtrando tra le assi sconnesse. L’instabile imbarcazione ondeggiava pericolosamente, quasi sfidando la tempesta.

Era stato in quel momento che i due piloti avevano deciso di abbandonare la barca. Erano saltati sul motoscafo, guidato dal loro complice, e li avevano abbandonati al loro crudele destino.

All’improvviso, un forte schiocco aveva fatto tremare l’imbarcazione. Gli elementi si erano scatenati in tutto il loro maestoso e terribile potenziale distruttivo, mentre i tuoni ruggivano, rimbombando nelle sfere celesti. La chiglia malridotta aveva iniziato a gemere, ululare e scricchiolare, sfinita dall’estenuante lotta contro il mare. Infine, come un’armata vittoriosa avanza davanti al nemico in rotta, così l’acqua era penetrata ringhiando tra le assi spezzate, stremate e sconfitte dalla marea vorticosa. La nave intera era stata squassata da un rumore assordante, un gorgoglio insistente, inarrestabile. Lo scafo aveva incominciato a riempirsi d’acqua, dalla poppa alla prua, mentre la gente urlava, aggrappandosi alle paratie, terrorizzata. Il legno si era spaccato, schioccando, quasi allegro, o forse beffardo.

La barca ci aveva messo pochissimo ad affondare. Quanti secondi, o minuti, non l’avrebbe saputo dire. Comunque, il tempo era passato rapidissimo. Prima che si fosse reso conto di ciò che stava accadendo, l’imbarcazione si era inclinata su un fianco, inabissandosi.

Aveva afferrato la prima cosa che aveva trovato a portata di mano, tenendola stretta. Una tanica di benzina vuota. Qualche attimo dopo il legno del ponte era scomparso da sotto i suoi piedi, inghiottito dalle onde. Intorno a lui centinaia di donne, bambini, ragazze, giovani, madri, padri e neonati avevano iniziato ad urlare ancora più forte e a piangere e a dimenarsi tra i flutti. Ognuno aveva cercato di aggrapparsi ad un appiglio, per restare a galla, nessuno sapeva nuotare. Molti erano scomparsi sott’acqua e non erano più riemersi.

Un uomo si era avvinghiato alla sua caviglia, trascinandolo sott’acqua insieme alla tanica. Aveva avuto paura, come mai prima di allora. Aveva iniziato a scalciare con tutta la forza che gli era rimasta, in apnea, trattenendo il respiro, cercando di liberare la gamba per tornare a galla. Alla fine il malcapitato aveva mollato la presa. Dimenandosi, aiutato dalla tanica piena d’aria, era riuscito a riconquistare la superficie.

La tempesta, poco dopo, era cessata quasi di colpo: il mare si era placato, il sole era tornato a splendere, come se niente fosse accaduto. E lui si era ritrovato da solo, avvinghiato alla tanica, in mezzo ai flutti, tutto intorno un silenzio quasi assoluto. Guardando l’ampia e calma distesa d’acqua, si era reso conto di essere l’unico superstite. Aveva pianto e aveva gridato, aveva urlato al cielo la sua disperazione.

Ritornò al doloroso presente, con uno sforzo immane, e osservò l’orizzonte. Non avrebbe saputo dire quante ore erano passate. Un lieve bagliore si andava diffondendo nel cielo. Avrebbe visto un’altra alba, forse l’ultima della sua vita. Il sorgere del sole incominciava ad illuminare i rottami del barcone che galleggiavano intorno a lui sul pelo dell’acqua.

Chiuse le palpebre ancora una volta, sopraffatto dalla stanchezza. Era ai limiti delle sue forze, era tentato di lasciarsi andare, di sprofondare dolcemente nell’acqua e adagiarsi lieve sul fondale, accompagnato da tutti i suoi sogni e dalle speranze infrante.

Poi riaprì gli occhi. E vide qualcosa d’incredibile. Una nave, di colore rosso fuoco, si avvicinava a lui, sollevando delle piccole onde. Pensò ad un’allucinazione, ma poi iniziò a distinguerla più chiaramente. Per attirare l’attenzione avrebbe voluto sollevare un braccio, ma non ci riuscì, era rigido come un pezzo di legno. Tentò di urlare, ma la bocca era talmente secca che la lingua cozzava inutilmente contro il palato, senza che nessun suono uscisse dalle labbra rinsecchite.

Se avesse continuato per quella traiettoria la nave l’avrebbe superato, senza vederlo. Invece, probabilmente attirata dai rottami, virò verso di lui. I marinai, sul ponte della nave, si tenevano al parapetto e guardavano insistentemente il mare, proprio nella sua direzione. Infine, gli occhi di uno di loro incontrarono i suoi: seppe di essere salvo.

*********

Solo nel 2016 sono state più di cinquemila le vittime dei “viaggi della speranza” nel Mar Mediterraneo.

Il 29 marzo 2017, un ragazzo di 16 anni è stato salvato da una nave spagnola a largo delle coste libiche. Unico superstite del naufragio, durante il quale hanno perso la vita 146 persone, è riuscito a sopravvivere tenendosi aggrappato ad una tanica di benzina.

2°  “Metamorfosi”    – Lorenzo ferrara, 4 C –

Bastò solo un giorno, anzi un momento e Morfeo se ne accorse.

Il professor Crono aveva ripreso Bacco, il solito combina guai. In genere non si faceva

scrupoli a criticare ogni sua scelta, dai jeans troppo consumati, all’uso delle cuffie durante la

lezione, al vizio di masticare la gomma, ma non era stata la sgridata in sé ciò che aveva

sorpreso Morfeo: era stata l’assurda motivazione.

Bacco, strano a dirsi, non stava disturbando, né parlando, né si dondolava sulla sedia: stava

sorridendo.

Non si poteva neanche chiamare risata, le labbra erano incurvate in un sorriso spensierato,

come quello del bambino inconsapevole delle difficoltà che lo aspettano una volta cresciuto,

un sorriso che porta sempre stampato serenamente sul viso.

Era questo che lo infastidiva: un sorriso.

Morfeo si accorse di come tutto ciò sembrasse sbagliato, del fatto che il prof. Crono

preferisse una classe di studenti apatici. Avrebbe fatto prima a chiamare la vicepreside

Medusa e – voilà – avrebbe ottenuto una serie di facce di pietra: qualcuna seria e, ancora

meglio, qualcun’altra imbronciata. Oh, come sarebbe stato contento! Ovviamente per modo

di dire: avrebbe espresso la sua gioia attraverso l’ennesimo sguardo indifferente e poi

avrebbe continuato a declamare le poesie di Leopardi come una lista della spesa.

Ma non poteva incolpare il prof. solo perché impersonava perfettamente ciò in cui il mondo

si era trasformato: ormai si pretendeva la totale incapacità di provare sentimenti felici in

quanto sinonimo di diligenza e serietà.

Che fine aveva fatto la passione? Ah, giusto: dalle dimissioni dei ministri Venere e Cupido,

la politica che incoraggiava il pieno coinvolgimento emotivo della persona nelle attività

scolastiche e lavorative era stata prima scoraggiata e poi completamente abolita.

Ed ora, mentre Bacco tentava di nascondere le sue labbra, sempre incurvate nel loro sorriso

ribelle, Morfeo, nascondendo un occhio con i lunghi ciuffi, si guardava attorno e notava sui

visi dei compagni gli effetti della ramanzina: se già erano abituati a tenere uno sguardo

spento, occhi persi nel vuoto e un’espressione vacua, adesso si erano subito apprestati ad

assumere una posa quasi solenne e pareva davvero che fosse passata la vicepreside, tanto

somigliavano a statue. Ma a questo ormai Morfeo era abituato.

Proprio a questo stava pensando Morfeo, qualche giorno dopo, rilassandosi nelle calde ed

accoglienti braccia di nonna Gaia; come sempre lei gli stava raccontando dei suoi tempi e di

una certa “età dell’oro”, ma Morfeo non le prestava veramente attenzione.

Era immerso tranquillamente nei propri pensieri, quando gli venne in mente Bacco, che

quella mattina si era superato in fatto di originalità.

La targa sulla facciata della scuola recita così: “Etnie, religioni e paesi d’origine non hanno

importanza: ci sta a cuore solo l’istruzione dei giovani” e davanti a questa Bacco, maglietta a

mezze maniche e jeans portati a vita bassa nonostante la cintura, riflette, gli scintillano gli

occhi: ha in serbo una sorpresa per qualcuno. Arrivato sulla porta della classe, come sempre

in ritardo, prende la mira e PAM!, qualcosa a forma di pallina arriva direttamente sulla nuca

di Ares. Esplode. E nello stupore e nel silenzio di colpo piombato in classe si vede una

maglietta completamente bagnata e si sente soltanto “Se ti prendo, sei morto!” prima di

vedere filare via Bacco, con il suo solito ghigno sulle labbra, e alle sue calcagna un Ares

diverso, spensierato e desideroso solo di una rivincita. Era la prima volta che uno scherzo di

Bacco non lo faceva infuriare, che finalmente il suo carattere guerriero tirava fuori il proprio

lato competitivo al posto di quello puramente brutale. E in fondo questa se l’era meritata:

d’altronde era stato lui, insieme ai suoi amici, a riverniciargli di rosa la bici.

Tornando alla realtà, Morfeo chiese alla nonna cosa fosse per lei la felicità. Lei ci pensò

qualche secondo e poi rispose: “É il colore dell’esistenza”. Un’immagine davvero efficace –

rifletté lui – senza, il mondo è in bianco e nero. Ed è spento. “Ora le emozioni sono guardate

con sospetto e timore, ma quando io…” continuava nonna Gaia, ma Morfeo già non la

ascoltava più. La sua mente ritornò di nuovo a quella mattina e ripensò a come aveva

reagito il professor Crono. Per pochi secondi una lieve piega aveva intaccato la sua

maschera di pietra, un accenno di divertimento – se così si poteva chiamare – aveva

attraversato il suo viso, ma poi il poliziotto cattivo dentro la sua testa aveva ripreso possesso

della situazione e in poco tempo aveva ristabilito l’ordine. “Suppongo dovremo abituarci al

broncio del prof. Crono.” aveva detto Bacco per scherzare, ma a Morfeo pareva esattamente

il contrario, gli sembrava che il mondo stesse prendendo colore, che non fosse più sbiadito,

che, come una vecchia polaroid, si stesse finalmente sviluppando e prendesse forma.

Bacco era la chiave, Morfeo lo sapeva. Bacco sorrideva e sorrise anche lui.

3°   “L’ultimo atto”    –  Francesca Minola, 3 I –

Un frastuono assordante che lo faceva tremare. Un suono di cavalli al galoppo che si facevano sempre più vicini. Un rombo di un tuono che preannunciava più una sciagura che una tempesta. Faticò a credere che il suo cuore potesse creare dei rumori così spaventosi e reali.

Il sangue cominciò a vorticargli nelle vene, facendolo sudare; ogni muscolo sembrava caricarsi di energia. L’adrenalina, la sua amata e vitale compagna in battaglia, sembrava avvolgerlo affettuosamente con le sue lunghe braccia.

Pian piano riuscì a non considerare il frastuono che gli annegava le orecchie e si concentrò sul silenzio della notte, così lontano e vicino al tempo stesso. Era abituato a ignorare il tumulto del suo cuore, che prima di ogni scontro sembrava voler fuggire via come il peggiore dei codardi. Ebbe quasi paura che la tempesta che gli imperversava dentro potesse essere udita anche dai compagni.

Invece la città taceva, un silenzio tragico, desolante, sibilante che sembrava seguirli e incalzarli.

Erano ormai arrivati in cima alla rampa di scale, un suo compagno saltò gli ultimi gradini e scomparve sul camminamento delle mura.

Si sentì il rumore di una spada e un tonfo accompagnato dal tintinnio di un’armatura. Il greco riapparve in cima alle scale, la luce della luna illuminò la leggera armatura, il giovane volto indurito dalla guerra e la spada. La lunga arma aveva il filo affilato rosso, rosso sangue, che gocciolava sul primo gradino. I chiari raggi di Artemide sembravano attratti da quelle calde goccioline che si andavano ad aggiungere a tante altre innocenti versate in anni e anni e anni di ingiustizie, soprusi … stragi.

Il compagno fece un veloce cenno con la testa e il piccolo gruppetto proseguì uscendo all’aria aperta in cima alle mura.

Una folata di aria fredda li accolse e le numerose stelle mostrarono due sentinelle nemiche sgozzate: una riversa scompostamente a terra caduta sotto il colpo mortale e l’altra appoggiata di schiena ai merli. Probabilmente la seconda si era appisolata, non aveva neanche avuto la possibilità di combattere o di vedere la morte in faccia: la fine peggiore che si potesse immaginare per un guerriero.

Respirò profondamente un paio di volte per liberarsi dalla sensazione di chiuso che ancora lo avvolgeva e lo appesantiva. Le pareti di legno sembravano essere ancora lì e gli sembrava strano potersi muovere liberamente. Alzò il braccio ad altezza spalla e due dei quattro compagni di diressero furtivi nella direzione indicata. Gli altri si avvicinarono ai cadaveri per spogliarli delle armi, ma non era ancora arrivato il momento del saccheggio, li ricacciò indietro con un muto rimprovero del capo rammentandogli il loro compito.

Mentre i due giovani achei cercavano una torcia, rimase solo qualche secondo ipnotizzato da quel corpo abbandonato all’ombra dei merli … persino la luna si rifiutava di toccarlo con le sue lunghe dita.

Il vento non era così forte come l’indovino aveva predetto, ma costante, perfetto per la loro ultima impresa.

Due compagni ritornarono con un grosso bastone e un paio di pietre focaie; in un attimo la fiamma ardeva e il segnale di via-libera era stato inviato alla flotta. Le barche scivolarono veloci sull’acqua portando al loro interno l’esercito più stremato e agguerrito della storia, passata e futura.

Poche ma pesanti nuvole cominciarono a coprire la luna: Artemide si rifiutava di assistere alla sconfitta di quella maestosa città. L’ombra nascose le navi e le accompagnò fino a riva; sembrava che Ade in persona scortasse il possente esercito greco con quel grande mantello grigio.

Una pallida imitazione del verso di una civetta e le porte di Ilio cominciarono ad aprirsi. Le stelle parvero spegnersi, nascondersi, scappare … Il silenzio era ancora assoluto, nonostante  il suo cuore ancora rombasse, quando gli Achei cominciarono a correre per le strade di Troia. L’aria si fece più fredda e lo alleggerì dalla stanchezza di dieci anni di guerra: i muscoli si rilassarono dopo ore di tensione, la sua testa si liberò da preoccupazioni e la sua anima … e la sua anima si sciolse … non si sentì più un soldato ma un vigliacco!

I Troiani non sarebbero mai riusciti ad opporre resistenza: erano troppo ubriachi, probabilmente molti disarmati; non era così che avrebbe voluto sconfiggerli! Non c’era gloria, onore. In quel lungo periodo di sangue e battaglie aveva solo sperato che tutto finisse, in un modo o nell’altro. Infatti quando Odisseo aveva proposto l’inganno, era stato il primo a sostenerlo perché già intravedeva la vittoria. Ma a quella vista … Un sapore amaro gli riempì la bocca, lo stesso del ferro, lo stesso del sangue. La luna era ormai completamente oscurata e le stelle sembravano non essere mai esistite.

Vide un bagliore nella parte ovest della città e udì come un sussulto spaventato: la città si stava svegliando in un inferno. In poco tempo cominciarono a nascere tanti altri piccoli fuochi e urla di donne morsero l’aria.

Scese le scale affannosamente e con gli altri greci cominciò a correre per le strade, ma se i suoi compagni entravano nelle case per uccidere e arricchirsi, lui non si fermava.  Le gambe continuavano a muoversi nel tentativo disperato di scacciare la sensazione di ingiustizia che lo inseguiva; non voleva dare alla sua testa la possibilità di pensare a quello che aveva fatto, sarebbe stato un errore, doveva abbandonarsi al suo istinto. Strinse le mascelle e i pugni accelerando per quanto più possibile la corsa. Cominciò a svoltare bruscamente nelle vie laterali senza sapere dove fosse e si rese conto che stava trattenendo il respiro; con una piccola boccata d’aria si graffiò la gola e la bocca sembrò riempirsi di chiodi, ritornò quindi in apnea. Se da un lato sentiva il bisogno di fermarsi per prendere fiato, dall’altro voleva continuare a correre, voleva urlare, voleva bloccare tutto, voleva cancellare tutto a partire dal rapimento di Elena.

Il vento aveva servito bene gli Achei alimentando i diversi falò: le fiamme erano ormai diventate un feroce branco di lupi che sbranava case, animali, persone senza distinzione. Il fumo grigio striava le lingue rossastre e cominciò a piovere e a vorticare della cenere nera. Il calore cominciava a scaldare l’armatura e il fuoco più volte aveva cercato di catturarlo.

Aveva incrociato qualche Troiano, ma nessuno l’aveva fermato o sfidato a duello finché non ritornò per puro caso sulla via principale e si diresse, sempre di corsa, alla piazza principale, dove i Greci avevano deciso di accumulare il bottino prima di portarlo sulle navi.  Gli si parò davanti un nemico a spada sguainata urlando qualcosa, ma lui non rallentò e saltando gli assestò un calcio nel ventre, estraendo il pugnale lo colpì al volto con il gomito atterrandolo. Solo quando passò l’arma sul collo del Troiano i suoi polmoni ripresero a respirare. Rimase immobile sul nemico agonizzante con le mani ancora nel suo sangue, più freddo del fuoco che li circondava. I suoi riflessi e la sua velocità d’azione erano le doti su cui contava di più in battaglia: gli avevano salvato la vita molte volte, ma quante vite avevano spezzato per preservarne una?! Aveva ammazzato, torturato, violentato … e adesso … la vittoria più importante della sua vita lo inorridiva. Quell’ uomo a terra che gemeva debolmente lo spaventava  e si disgustava non solo di sé stesso, ma di tutta l’umanità.

Ricominciò a correre perché ormai era l’unica cosa che voleva, poteva e doveva fare. Se avesse lasciato solo un altro secondo alla sua testa per riflettere sarebbe impazzito, lo sapeva.

Ormai le fiamme lambivano ogni edificio facendone crollare molti, era quindi costretto ad aprirsi la strada con la spada. Cominciò a mulinare la sua arma senza controllo, il fumo gli entrava negli occhi e nella gola, il caldo insopportabile lo schiacciava, i muscoli ormai non lo reggevano più. Poi all’improvviso un crollo sopra la sua testa.

Le fiamme continuarono a divorare imperterrite la città, le grida ormai si erano spente lasciando spazio al crepitio delle fiamme. La luna era già tramontata ma le stelle fecero una breve comparsa, forse sperando di vedere qualche sopravvissuto. Stava albeggiando e alle striature rosse del cielo si aggiunsero anche quelle del fuoco, il fumo invece veniva spinto dal vento verso occidente, come per allontanarlo dal sole.

La cenere incandescente e luminosa salì in piccoli vortici, su, salì in alto, fino alle stelle unendosi a loro, completando molte costellazioni.

Il fato fu crudele con questa città: non solo la condannò sette volte alla rovina, ma quella volta costrinse i suoi resti dall’alto del firmamento a vedere la sua distruzione per altre due volte.

 

BANDO di CONCORSO  per la  POESIA e la NARRATIVA

 

 

 

L’azzurro non si misura

 con la mente

 

Come da lunga tradizione anche quest’anno vengono banditi un concorso di poesia ed uno di narrativa (racconti), entrambi intitolati ad Ettore Barelli, il primo preside del nostro liceo per il quale ottenne l’intitolazione a Elio Vittorini. Barelli ha scritto varie opere di poesia ed anche un libro, “Il Liceo di Piazza Frattini”, in cui parla della sua esperienza scolastica di preside caro a docenti e studenti.

Regole dei concorsi:

  • Entrambi i concorsi sono a tema libero e sono aperti a tutti gli studenti del Vittorini.
  • Le composizioni dovranno essere strettamente individuali e non di gruppo o di classe.
  • Non saranno ammessi lavori già inviati ad altri concorsi o già pubblicati on-line.
  • Ciascun componimento poetico non dovrà superare i 40 versi. Sono ammesse fino ad un massimo di tre poesie per ogni autore.
  • Ciascun racconto non dovrà superare le 9000 battute spazi inclusi. E’ ammesso un solo racconto per ogni autore.

 

Le composizioni dovranno essere inviate via e-mail con la seguente procedura:

  • Inviare una e-mail all’indirizzo: barelli@eliovittorini.it
  • Nel corpo dell’e-mail indicare: nome, cognome, classe, titolo del componimento.
  • In un allegato anonimo inserire il testo della o delle composizioni (nell’allegato non deve figurare alcuna indicazione che possa condurre all’identificazione dell’autore, pena l’esclusione dal concorso).

Verrà data conferma del ricevimento via email.

I testi dovranno essere presentati entro il 31 marzo 2017.

I PREMI:   La commissione selezionerà le poesie e i racconti più interessanti e premierà  i  tre lavori migliori:

POESIE RACCONTI
Primo classificato      € 150,00 Primo classificato      € 150,00
Secondo classificato  €  75,00 Secondo classificato  €  75,00
Terzo classificato       €  50,00 Terzo classificato       €  50,00

Ogni autore non potrà essere premiato per più di un elaborato. 

Per ulteriori informazioni rivolgersi in Biblioteca o alle professoresse Pes, Bisio o Bonzi