Ultima modifica: 31 Ottobre 2015

Anno scolastico 2014_2015

La Giuria di valutazione delle opere pervenute, si è riunita nel giorno di lunedì 18 maggio 2015 alle ore 14.00, presso la Biblioteca del Liceo.

I seguenti alunni sono risultati vincitori della IX edizione del “Concorso di Poesia Ettore Barelli”

Prima       classificata Lea  ZANCANI 3D
Seconda  classificata Valentina  JERUSALMI 5D
Terza        classificata Maira  ORIO 3G

I seguenti alunni sono risultati vincitori del  “Concorso di narrativa  Ettore Barelli”

Primo        classificato Jacopo   ZAPPA 5F
Secondo   classificato Enrico    MIRABOLI 2D

 

Tutte le premiazioni  in oggetto  sono avvenute   sabato  6 giugno 2015, nell’ Auditorium

 

Seguono i testi dei vincitori del Concorso Ettore Barelli:

Poesia

1a  Lea Zancani                   Classe             2 I

Quello che so

Marito, macchina, appartamento impersonale,

cene precotte, corse, lavori da sbrigare,

soldi, minuti contati, fumo di sigaretta,

scadenze, stress, pochi baci e sempre di fretta,

aeroporti di città che non vedrai mai davvero,

lamentele per la pioggia, per il caldo o per il gelo,

semafori, traffico, caffè, sorrisi finti,

telefonate, metropolitana, manicure, capelli tinti,

settimane, mesi e anni, tra loro uguali e vuoti

rimpianti e nessuna storia da raccontare ai nipoti

apparenza, immagine, superficialità e nulla di fondo

nessun segno lasciato del tuo passaggio al mondo,

dicono che sono troppo giovane per avere le idee chiare,

ma vi giuro che so cosa non voglio diventare.

 

2a Valentina Jerusalmi  Classe       5 D

Inferno Notturno

Componimento in settenari, realizzato durante una notte insonne.

Sconquassi il mio cuore
Nella tacita sera
Affannoso sospiro
La pelle mia ‘ncor spera
Tu vuoi sol che io soffra
Vuoi ch’il senno io perda
Restituiscimi’l sonno
Zanzara di merda

 

3a Maira Orio                        Classe             3 G

Terra

Gira attorno
Cosa vedi?
Un brutto giorno
Uno stormo
di corvi
Una montagna di corpi
Un villaggio distrutto
Dolore
asciutto
Amore perduto
Un bambino caduto
Un ramo spezzato
Un cuore spietato
Un morto abbandonato.

Speranza
non andare via
Quanto bisogno di amore,
di pace, di poesia.

 

Narrativa

1a  Jacopo Zappa                   Classe             5 F

L’uomo senza tempo

C’era una volta, in un paese molto lontano, “l’uomo senza tempo”. Questo era il modo in cui veniva chiamato: d’altronde, essendo sempre impegnato a lavorare, non aveva molti amici e nessuno sapeva quale fosse realmente il suo nome, tanto da dimenticarsene lui stesso. L’uomo senza tempo si svegliava tutte le mattine all’alba, velocemente si vestiva e usciva di casa per andare a lavorare. Nessuno lo notava se non per pochi secondi; infatti era solito camminare di fretta senza mai fermarsi; non salutava nessuno e, se per caso una stringa della scarpa gli si slacciava, lui non se ne preoccupava, continuando a muoversi a gran velocità per non perdere tempo. Anche nei giorni di riposo sembrava essere molto indaffarato: infatti mai nessuno lo vedeva al mercato, luogo di ritrovo per tutto il paese. Le uniche voci che giravano sul suo conto lo dipingevano così: un ragazzo sincero, con tanta creatività, voglia di vivere, amare, pieno di passioni, ma al tempo stesso troppo impegnato per tutto questo. E così passavano i giorni, uno dopo l’altro, uno uguale all’altro; nulla cambiava, nulla poteva cambiare: non c’era abbastanza tempo per cambiare.

Nello stesso paese abitava, o meglio, si diceva abitasse, un uomo che non aveva mai provato, in tutta la sua vita, affetto per nessuno, neanche per suoi genitori e quindi, a sua volta, era odiato da tutti: non c’era da stupirsi se in paese lo chiamavano “l’uomo senza amore”; altri invece gli davano questo soprannome perché dicevano odiasse il suo vero nome, tanto da averlo volontariamente rimosso dalla memoria. Ma oltre ad odiare chiunque, odiava qualunque cosa, e così passava le sue giornate in casa a osservare instancabilmente il soffitto. Disprezzando tutto, aveva molto tempo libero che avrebbe potuto usare per le più disparate faccende, se solo gliene fosse piaciuta una! Non aveva voglia di investire il suo tempo, non aveva voglia di vivere, neanche di sognare. Intanto i giorni trascorrevano, tutti uguali, finché decise che era giunto il momento di cambiare: avrebbe trovato l’amore, la voglia di vivere, di dare un senso alla propria esistenza, oppure tanto valeva morire, togliersi la vita e mettere fine al questo continuo tedio. Ma cosa poteva dare in cambio dell’amore tanto desiderato? Poteva offrire solo una cosa, l’unica cosa di valore che aveva in abbondanza: il tempo.

Come ogni lunedì mattina il mercato era pieno di gente; una folla quasi soffocante di persone accorreva per accaparrarsi le offerte migliori. Quello stesso giorno l’uomo senza amore uscì di casa: era la prima volta che aveva voglia di incontrare qualcuno. Nessuno lo aveva mai sentito parlare, mentre ora gridava a gran voce: “vendo tutto il mio tempo in cambio di amore”; e, per farsi notare meglio, l’uomo senza amore mostrava un cartello sul quale era impressa la scritta “vendesi tempo”. Purtroppo nessuno aveva voglia di ascoltarlo e tutti lo evitavano perché avevano paura di un uomo così strano. Chi leggeva il suo cartello lo derideva per la sua folle offerta, e chi sentiva le sue grida lo credeva un circense in procinto di dare spettacolo. La giornata sembrava allora interminabile, in mezzo ad una folla sempre più vasta ma sempre più lontana da lui. L’uomo senza amore alla fine si ritrovò isolato, ai margini della piazza. Al calare del sole, senza speranze, sconfitto, sfinito dal suo inutile tentativo di cambiare, lasciò cadere a terra il suo cartello ed iniziò a dirigersi lentamente verso casa. Mentre si trascinava sulla via di ritorno, una figura , a grande velocità, gli si avvicinò e si presentò come “l’uomo senza tempo”, mostrandosi interessato alla proposta di vendita riportata sul suo cartello. L’uomo senza amore chiarì, a quello che sembrava un possibile cliente, i termini della sua trattativa: egli era disposto a barattare tutto il suo tempo in cambio di tutto l’amore dell’acquirente. A quel punto l’uomo senza tempo, incredulo di fronte ad una simile offerta, realizzò che quella era la vera opportunità della sua vita: così abbracciò l’uomo senza amore, come si abbraccia un amico che non si vede da tanto tempo, donandogli tutto l’amore che possedeva, in cambio di tutto il tempo di quest’ultimo.

I due tornarono a casa, felici dell’accordo stipulato, e consapevoli di aver finalmente incontrato un amico dopo tanti anni di solitudine. E, chiacchierando, camminavano con una tale lentezza che chi li vedeva da lontano mai avrebbe potuto immaginare che uno dei due fosse l’uomo senza tempo.  Decisero dunque che era il momento di darsi dei nomi nuovi, e così l’uomo senza tempo chiamò l’amico Agapo, che a sua volta chiamò l’altro Crono. Da quel giorno i due iniziarono a frequentarsi, a viaggiare in posti mai visti e a fare conoscenza di quei concittadini dei quali non avevano mai visto il volto.

Crono aveva iniziato ad associare diverse attività alle intense giornate lavorative, per soddisfare le passioni che aveva sempre coltivato: aveva un gruppo di amici con cui giocava a calcio, aveva imparato a suonare il pianoforte, leggeva molti libri e tutte le settimane andava al mercato, dove incontrava i molti compaesani che aveva conosciuto.

Lo stesso accadde ad Agapo che, ora, appassionato a molte attività, aveva trovato un lavoro, amava vedere nuovi luoghi e stava a contatto con le persone: finalmente amava la vita e voleva bene a se stesso. Ora che le giornate di Agapo erano piene di attività, il tempo sembrava trascorrere troppo velocemente: volavano i giorni, le settimane, gli impegni si sovrapponevano e il tempo non bastava più. Finché un giorno Agapo si rese conto che dare tutto il tempo che aveva a Crono era stato un grosso errore: adesso che aveva molte passioni, l’amore non gli serviva più a niente, perché gli mancava il tempo di fare, di sentire, di provare qualunque cosa. Non riusciva più nemmeno ad incontrare il suo caro amico Crono che stava diventando sempre più scontroso e antipatico. Quest’ultimo infatti iniziava a passare sempre più tempo in casa e ad odiare qualunque attività: aveva abbandonato il calcio, il pianoforte e persino il lavoro. Crono si rese conto che dare tutto l’amore che aveva ad Agapo era stato un grosso errore: adesso che aveva tutto il tempo disponibile, questo non gli serviva più a niente, perché gli mancava la voglia di fare, di sentire, di provare qualunque cosa. Decise così di cercare di recuperare le passioni che non aveva più: l’unica soluzione possibile sembrava quella di tornare a visitare i luoghi scoperti con l’amico Agapo.

La mattina successiva partì di casa per recarsi sull’isola dove lui e l’amico avevano trascorso i primi momenti successivi allo scambio, una volta tanto desiderato, ora tremendamente maledetto. Mentre Crono era in viaggio verso la meta prestabilita, Agapo usciva velocemente di casa per andare a lavorare: quel giorno avrebbe accompagnato un equipaggio alla ricerca d’oro su un veliero. Durante il viaggio, Agapo si ricordò dell’esistenza di un’isola rigogliosa e fiorente che doveva sicuramente ospitare ricche miniere d’oro: così avvisò il capitano e il veliero cambiò rotta, in cerca del luogo appena suggerito da Agapo. Raggiunta la nuova meta, l’equipaggio scese sull’isola ed iniziò la speranzosa ricerca.  Agapo però, camminando lungo la riva, fu distratto e dalla presenza di un vecchio uomo seduto sulla sabbia, con lo sguardo assorto nell’orizzonte, e incuriosito dalla sua solitudine gli si avvicinò. L’uomo, che visto da lontano sembrava anziano, ora appariva molto più giovane, anche se tremendamente imbruttito dai marcati segni di odio e cattiveria profonda che incorniciavano il suo volto. Agapo non aveva tempo per chiedere tutto quello che avrebbe voluto: la domanda che per prima balenò nella sua mente riguardava la posizione delle miniere. L’uomo spiegò ad Agapo che non sapeva rispondergli, perché aveva visitato quell’isola solo una volta, in compagnia di un amico. Agapo sentiva di aver in comune qualcosa con quest’uomo, ma non sapeva bene cosa: la sua voce gli sembrava molto familiare, ma non c’era tempo per altre domande, perché doveva tornare al lavoro. Riunitosi all’equipaggio per iniziare l’estrazione dell’oro, si fermò improvvisamente e ripensò alle parole di quell’uomo incontrato poco prima: di soprassalto capì che quella voce tanto, troppo familiare era di Crono; il vecchio, solo sulla spiaggia, era l’amico con cui aveva scambiato il suo amore.

Di corsa Agapo tornò sulla spiaggia dove lo aveva  incontrato, ma con sorpresa scoprì che Crono non c’era più. Lo cercò a lungo, ma invano.  Agapo non poteva perdonarselo: non aveva riconosciuto l’amico, l’unico uomo in grado di ridargli il “suo tempo”. Perdendo così quest’ultima occasione morì, ucciso dal tempo che sfuggiva dalle sue mani, senza sapere che Crono aveva appena subito la sua stessa sorte: infatti, non avendo ritrovato sull’isola il fine per cui aveva intrapreso questo viaggio, ossia quello di riavere  le passioni che un tempo provava, decise di uccidersi, allontanandosi per sempre nel mare.

 

2a Enrico Maraboli Classe 2 D

Bianco e Nero

Su una bellissima tavola quadrata di legno c’erano dipinte delle caselline, una bianca alternata ad una nera, fino a riempire tutta la tavola: era una magnifica scacchiera. Su questa scacchiera vivevano da una parte i pezzi bianchi, usciti per primi dalle mani del bravissimo intagliatore, e dall’altra i pezzi neri, i più giovani sulla scacchiera. I pezzi vissero a lungo separati, gli uni noncuranti degli altri, ma un giorno al re dei pezzi bianchi piacque l’idea di costruirsi una residenza estiva dall’altra parte della scacchiera, proprio dove c’erano i pezzi neri, che di lì non si sarebbero mossi neanche a pagarli.

Allora fu guerra.

La scacchiera esiste ancora oggi e ci sono anche i pezzi originali: sarebbe bello se si finisse qui, ma insieme alla scacchiera ed ai pezzi è rimasta anche la guerra. Sono ancora lì infatti a darsi battaglia, pedone contro pedone, alfiere contro torre, cavallo contro regina, re contro re, bianchi contro neri; il nero che vuole il centro della scacchiera, il bianco che la vuole tutta. Chi perde in questo gioco autodistruttivo viene escluso dalla scacchiera, senza poter dire niente, fino a che non avrà ritrovato le forze per issarsi su dal bordo di quella bellissima scacchiera.

E sarà guerra di nuovo.

Continuerà questo tragico ripetersi fino a quando anche l’ultimo dei pedoni si accorgerà di una cosa: il pedone dell’altro colore che dovrebbe andare a mangiare è esattamente uguale a lui. Sono perfino usciti dallo stesso pezzo di legno! C’è solo quel vestito che indossa di diverso. E a pensarci bene anche per gli alfieri è così, e per i cavalli, e per le torri, e per le regine e addirittura per i re che tanto si odiano e si insultano, in fondo perché hanno due vestiti di colore diverso! E quando il pedone capirà anche che, come soffre lui per le perdite dei compagni, soffre allo stesso modo anche l’altro pedone, quello uguale a lui, e diffonderà questo messaggio prima ad un altro pedone, poi ad un altro, poi ad un altro ancora, poi ad una torre, ad un cavallo, ad un alfiere, alla regina, al re ed allo stesso modo nelle file dell’altro colore alla fine ci sarà comprensione.

E i due re si stringeranno la mano.

Milano 6 giugno 2015