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Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s'accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati da fieno che starnutano per pollini di fiori d'altre terre.
                                                                da Marcovaldo, incipit

Ana
4 F

Ma sono molte le piccole meraviglie cui nessuno fa caso. Camminavo lungo la  via in cui abito con una mia piccola amica, penso frequenti la seconda elementare. Le faccio notare un’anziana donna che annaffia le sue rose bianche alla sua finestra del piano terra di un bel palazzo che si trova tra la periferia e il centro di questa grande città. Se qualcuno la osservasse attentamente vedrebbe come, nel fare questo gesto quotidiano, la donna pianga amaramente. “Ah, ora ho capito, è perché una bella rosa si è seccata, è per questo che la signora è triste” mi dice la mia compagna di avventure. Troppo semplice come spiegazione. In verità il fatto che una delle sue rose ci abbia abbandonati non è molto connesso con le sue lacrime. La donna piange perché quei bei fiori bianchi per lei vogliono dire molto più di una foto, di una voce o di un qualsiasi altro oggetto. Le ricordano la persona che amava, quella persona che non vedi da anni e anni ma che vive nel suo cuore grazie a quei fiori, che la donna riceveva sempre in dono. Soffermandosi ancora qualche attimo si vedrebbe arrivare, sempre su quel balcone, una bimba molto indaffarata a vestire la sua bambola. Dopo averle messo vestitino rosa, scarpette bianche e cappellino rosa con un grande nastro bianco questa bimba farà vedere il suo giocattolo preferito alla nonna, che farà di tutto per mascherare le sue lacrime e dirà alla sua nipotina, come fa sempre, quanto sia bella la sua bambola e quanto le assomigli. E dato che nemmeno la bambina si è accorta del pianto della nonna, la signora anziana continuerà a nascondere, come ha fatto per la maggior parte della sua vita, il grande segreto che si trova dietro le rose bianche. Ma questo quartiere ormai è anche mio, e se c’è qualche misteriosa vicenda da chiarire mi sento pronta ad indagare con l’aiuto dell’innocenza della mia cara amica di seconda elementare, Alice. Torniamo alla signora delle rose: mentre le annaffiava ho notato un ciondolo piuttosto strano. Era una figura geometrica simile ad un rombo con inserito un cerchio in mezzo. Non so perché mi ha colpita così tanto, forse per la sua particolarità, però mi è rimasto impresso e questo non è stato assolutamente un male. Alice e io proseguiamo a camminare, in fondo le ho promesso un bel gelato con minimo minimo due gusti. Il gelataio non è molto distante dal balcone che mi ha incuriosita tanto. Arriviamo, compro il gelato al gusto di cioccolato, fragola e crema (abbinamento discutibile, lo so) e poi purtroppo la mia piccola amica deve tornare a casa, è venuta sua madre a prenderla. Io intanto parlo un po’ con il gelataio, mi conosce da quando sono piccola, ormai però lui lavora pochissimo in negozio, ha ceduto il passo a suo figlio e a suo nipote, di qualche anno più grande di me. Parlo un po’ con questo uomo che è stato il mito della mia infanzia, per me vedere lui era come sentire in bocca il sapore del suo ottimo gelato. Mi racconta che l’attività non va come dovrebbe, che i prezzi stracciati del centro commerciali gli tolgono clienti. Mi indica poi sulla parete colorata una fotografia, di quarant’anni prima, scattata all’interno della gelateria. Il bianco e nero la rende epica. L’anziano gelataio, bello come un Dio circondato da tre stupende ragazze, tutte con il grembiule uguale,  sorride come se gli avessero detto che sarebbe finito in prima pagina del Corriere della Sera. Mi dice: “In quei giorni sì che si viveva bene, non riuscivamo a fermarci un attimo dalla quantità di persone che veniva qui, era un locale molto alla moda”. Sul muro sono appese altre foto, tutte risalenti a molti anni prima, tutte molto belle. Ma quello che più mi colpisce è una sorta di statua, enorme, che intravedo nella parte riservata del negozio. Il gelataio si accorge che l’ho notata e guardandomi dritta negli occhi mi dice: “Stai attenta, ogni persona nasconde un immenso mistero nelle sue parole e nelle sue azioni, ma nessuno, nessuno ha il diritto di indagare quale sia questo mistero.” Non capisco perché abbia reagito così. Ma ho sempre avuto un’ottima memoria, un memoria che adesso mi consente di collegare con un filo per ora ancora invisibile due persone che pensavo non avessero alcun rapporto: quella statua… Ne sono certa, era la stessa forma del ciondolo dell’anziana donna. Questo quartiere mi nasconde qualcosa. Può essere solo un caso che due forme geometriche identiche, per me senza alcun significato, siano tenute così strette da due persone? Decido di non dare peso alla mia opprimente fantasia e vado a comprare la pizza sotto casa mia, ho ospiti stasera. L’atmosfera è sempre stata particolare in questo posto di due metri quadrati, dove si vende solo pizza al trancio e forse, se proprio sei amico del gestore, si riesce a rimediare anche qualche panzerotto. Saluto, mi conosce, vengo spesso da lui quando non ho voglia di cucinare. Faccio la mia ordinazione e aspetto. Guardo fuori dalla vetrina, vedo gente che corre (in questa città tutti hanno sempre fretta) e persone che hanno molto freddo. Ma quella donna, quella donna, sulla quarantina, elegantissima, quella donna ha quell’anello… Non posso crederci. Deve necessariamente avere un significato quel rombo con quel cerchio. Sto per prendere una delle decisioni più azzardate della mia vita: la seguirò. La donna è visibilmente nervosa, continua a guardarsi alle spalle e cammina sempre più veloce fino a quando non mi riporta alla gelateria. Scruta fugacemente dentro e poi entra da una piccola porta cui non avevo mai fatto caso in un cortile. Va a sinistra e scende per un’infinita rampa di scale. Esito a seguirla, non so nemmeno dove sto andando. Ma non mi fermo, la seguo da grande distanza. Avrò visto troppi film polizieschi americani, magari in fondo a quelle scale si trova semplicemente la cantina di quella rispettabile signora. Ma continuo a seguire il mio istinto. Non la vedo più, ma vedo una strana fonte di luce provenire da sinistra. Mi avvicino piano, con molta cautela, sento solo il rumore del mio respiro, che cerco di rende il più possibile silenzioso, ma anche le mie scarpe scricchiolano sui sassolini della cantina. Trattengo il respiro ma sento alle mie spalle un passo, mi giro di scatto e sono circondata. Persone che tutti i giorni vedevo e con cui almeno una volta a settimana scambiavo due parole ora sono intorno a me, con sguardi cupi. La luce è data solo da candele, molte candele. In silenzio li seguo in una stanza piena di poltrone lussuose, di tavoli di legno elaboratissimi, di sigari costosi e di tazzine di porcellana. Non capisco cosa sia quel luogo. Continuo a riflettere, loro non mi dicono niente e giungo a una mia conclusione. Sono una setta, dei massoni o qualcosa di simile. Il gelataio mi spiega: “Siamo noi che decidiamo qui, nessun’altro se non noi. Tu però stavi intuendo qualcosa, ce ne eravamo accorti. Puoi scegliere: stare con noi e dirigere tutto quanto: i telegiornali, la stampa, l’economia, vivere come una regina mantenendo esternamente un livello di mediocrità ma sapendo di governare tutta questa nazione. Oppure puoi andartene di qui e rimanere tra gli idealisti, quelli che non hanno niente, che credono che una manifestazione cambierà le loro condizioni di vita perché non sanno che siamo noi quelli che comandano. Sai, tu mi hai sempre visto in quella gelateria, ma in verità io sono un ingegnere nucleare, e così molte di queste persone che tu conosci, che svolgono lavori umili, sono invece i potenti, quelli temuti da tutti, quelli che manipolano e giocano con la vita di milioni e milioni di persone. Tu puoi scegliere. Dirigere questo mondo o rimanere una marionetta illusa.” Cosa fare? Vogliono una risposta ora. Non sarò ipocrita, il potere mi attira, e questo che loro mi offrono è un potere concreto e non nominale. Non voglio rimanere una schiava di quello che altri decidono per me, non voglio più illudermi che qualcosa di buono accadrà in conseguenza alle mie piccole azioni, perché non è così. “Accetto”. Una sola parola per segnare la mia vita, una parola per dire che quello che voi credete sia il vostro stato ora lo gestirò io, io che ho venticinque anni, io che avevo degli ideali che voi tutti quanti avete fatto morire. Perciò se mi incontrate per strada sappiate che sarà come incontrare una statista o un ministro.  Morale della storia? Tutti hanno dei segreti che nessuno mai nella vita potrà scoprire, segreti che moriranno con la persona stessa e formeranno quell’enorme patrimonio sepolto dell’umanità. Tuttavia a volte sarebbe sufficiente osservare attentamente tutto quello di cui facciamo parte per scoprire quanto tutto sia collegato, spesso anche in modo inquietante.  Fossi in voi mi domanderei solamente se il vostro vicino fa davvero l’agente immobiliare. Ora vi devo lasciare, i miei ignari ospiti mi aspettano. Non sanno con chi hanno davvero a che fare.

Lea
4 F

Queste persone sono solite chiamarsi tra loro “Fortunati”.
I Fortunati ogni giorno sanno che devono aspettarsi qualcosa di diverso dal giorno precedente, fin dal mattino, quando stiracchiandosi al risveglio respirano e assaporano a fondo un’aria speziata, carica di quel connubio di profumi diversi che sanno provenire da qualche luogo lontano oltre il mare.
Allora i Fortunati capiscono che li attendono anche quel giorno gioie intensissime ma anche forti dolori, perché nessuno degli altri abitanti della città capisce la vera bellezza che fa brillare ogni cosa nei giorni di vento e nessuno comprende il significato nascosto dietro ad ogni luce, ogni colore che risplende vivido al sole. Questo fa sentire i Fortunati atrocemente soli.
Molti di loro cercano in mille modi di spartire con altri le bellezze che sentono, raccontano agli increduli passanti che incontrano per strada quello che realmente succede in città ma quasi sempre senza attirare particolare attenzione. A volte qualche non-Fortunato si incuriosisce a trovare persone così stupite ed ammirate senza motivi apparenti ed indaffarate a rappresentare non si sa bene cosa, ma nelle città la gente è indaffarata, non ha tempo da perdere per cercare di capire, quindi  la gente tira dritto senza fermarsi e si toglie semplicemente il problema dalla testa.
Non si conoscono i criteri secondo cui i Fortunati si comportano, non si conoscono gli schemi e le regole che li guidano e, come ogni cosa che appare senza regole, i Fortunati spaventano gli alti abitanti della città, li rendono sospettosi, forse anche un po’ invidiosi dell’incredibile dono di cui godono di non curarsi dei piccoli problemi pratici della vita di tutti i giorni, di convivere con realtà meravigliose pur vivendo in una grigia città, di ricevere ogni giorno dal vento un regalo diverso.
Purtroppo, come ogni cosa che fa paura e suscita sospetto o un po’ di invidia agli abitanti della città i Fortunati vengono isolati e allontanati, li chiamano disturbati, malati, pazzi, li additano come folli che vedono cose che non esistono, li compatiscono mentre nel profondo li temono perché sanno che sono molto più saggi di quante loro potrebbero mai sperare di diventare.
Nella storia i “matti” sono stati rinchiusi, scherniti, scacciati dai loro concittadini i quali, per via della loro superficialità e chiusura nei confronti del diverso, sono condannati a vivere un’ esistenza grigia, senza mai  poter godere dei doni che il vento porta da lontano.

Silvia
4 F

In faccia, scompigliandole i capelli, leggere raffiche le oscurano la vista, impedendole di osservare il grigio di una città che non ama. Chiudendo per un istante gli occhi riesce a immaginarsi altre strade e altre vite in altri spazi. Ma apprezzerebbe di più se si trovasse in cima ad un grattacielo dove le raffiche la butterebbero a terra o di sotto, facendole percepire sensazioni uniche, dove non solo la vista e il naso sarebbero partecipi ma tutto il suo corpo.
Il vento, venendo da lontano, le porta sapori inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come gli chef dei più noti ristoranti francesi. Sabbia e sale le invadono la bocca impedendole di respirare l’aria di una città che odia. Chiudendo le labbra per un istante riesce ad immaginarsi il miglior piatto che sia mai esistito, nonostante sia ben cosciente di non averlo mai assaggiato. Ma apprezzerebbe di più se si trovasse sul retro di un McDonald, dove il profumo di una qualsivoglia spezia sarebbe molto più gradevole.
È ben cosciente che il vento porta doni insoliti. Camminando per strada si accorge che il vento potrebbe farle cadere in testa un qualsiasi oggetto, magari pesante, come una tegola o un vaso di fiori che sporge da un finestra sopra di lei. Sarebbe un dono forse inaspettato ma per lo più non gradito. E continuando a pensare le viene in mente che non solo un vaso o una tegola ma anche un tetto o un intero palazzo potrebbe donarle il vento e lei sicuramente dopo non saprebbe come ringraziarlo.
È ben cosciente che se non ci fosse il vento i gabbiani non potrebbero  volare sul mare e le aquile sui boschi. Che se non ci fosse il vento non ci sarebbero i fiori e i frutti e quindi gli alberi e altri fiori ed altri frutti. Che se non ci fosse il vento il predatore non sentirebbe la traccia lasciata dalla sua preda e quindi non ci sarebbero più predatori ma neanche prede.
È ben cosciente che se non ci fosse il vento non ci sarebbero state le onde, le barche a vela e quindi le navi e i transatlantici. Non ci sarebbero stati i viaggiatori e le viaggiatrici e che non si avrebbe scoperto l’America e che non avremmo mangiato patate né pomodori. Che se non ci fosse stato il vento non ci sarebbero state le Guerre Mondiali.
È ben cosciente che se il vento c’è è perché è usato da qualcosa o da qualcuno, bene o male. Per esempio un signore che regala ad un bambino un palloncino in una giornata molto ventosa non fa una buona azione: il bambino non riuscirebbe a trattenere il palloncino per il filo, gli volerebbe via e quindi piangerebbe. Ma se per esempio un insegnante di windsurf portasse i suoi allievi al mare per la prima volta in una giornata ventosa sarebbe un insegnante bravo perché i suoi allievi riuscirebbero a far partire il windsurf e verificare le loro capacità, sentirsi soddisfatti e quindi divertirsi. E in entrambi i casi si può verificare la situazione contraria.
Di fatto però il vento le ha causato uno spiacevole disguido. Il cappello che aveva sul capo è stato spazzato via. Ora vola lontano e sembra una farfalla tra le teste della folla che cammina sul marciapiede. Dopo tanta riflessione sta maledicendo il vento: non sa cosa ha in serbo per lei questo simpatico burlone che rientra nella categoria degli agenti atmosferici.
Continuando a correre tra la folla, seguendo il suo cappello, si sta dirigendo verso la fermata dell’autobus, proprio quella dove doveva arrivare. E che se non avrebbe corso non avrebbe preso l’autobus su cui viaggiava quello che diventerà tra poco tempo suo marito. 

Francesca Artale
5 A

Lei era una ragazza speciale, il vento la rendeva triste e malinconica, pensava al passato, a tutto ciò che aveva e che le era stato portato via come il vento che trasporta lontano ciò che incontra nel suo cammino. Era sola… Incominciò a piovere; la pioggia scendeva lungo i suoi occhi tristi nascondendo le lacrime… sognava… sognava di poter ricominciare a vivere… una vita diversa più felice ma sapeva anche che ciò non sarebbe mai successo. Doveva rassegnarsi a ciò che il destino le aveva riservato. Ancora non sapeva che la sua vita sarebbe cambiata…e come poteva saperlo? Non aveva mai creduto che le cose potessero migliorare, e invece dopo qualche tempo si sarebbe ritrovata ancora lì alla stessa finestra a osservare il vento, ma con occhi diversi, occhi felici…
Nel cortile i bambini giocano allegri, corrono e saltano tra prati e fiori, una famiglia riunita a tavola per la cena di Natale, un uomo da amare… la vita che aveva sempre sognato sarebbe stata sua… in fondo se l’era meritata dopo tutti i sacrifici e il dolore che aveva sopportato in quei tristi anni lontano da casa.

Elisa Benaglia
5 A

Ma a chi porta i doni? Affacciata alla finestra assapora i profumi che il vento trasporta – “viene dalla campagna” – pensa. Ha quel buon profumo di prati fioriti, mi viene in mente quando vi giocavo da piccola con le mie sorelle, che tranquillità a quei tempi.
Respiravo solo aria buona, di un mondo senza peccato.
Ora sento i miei capelli alzarsi, volare e sbattermi dolcemente sul viso, mi risvegliano da momenti irripercorribili. Mi guardo attorno, sembra tutto così triste tutti cercano di sopravvivere, tirano fuori le unghie, tentano l’impossibile, ma, alla fine soccombono in un mondo dove solo chi è forte può vincere, o almeno può provare.  
Il vento porta odori ma se è un vento gelido fa rabbrividire chi incontra come quando cammini per andare a scuola e hai il viso scoperto e d’un tratto senti come se ti accarezzasse un pezzo di ghiaccio, inizi a tremare, per poi riconquistare la temperatura di prima, ma ecco che di nuovo vieni colpita da una folata gelida e allora pensi a quanto sarebbe bello avere uno di quei passamontagna caldi, che se poi lo comprassi non lo metteresti mai perché nessuno in città gira con quei cosi, preferiscono una faccia ghiacciata piuttosto che coprire il volto con la lana per stare meglio e non patire ogni volta che si esce di casa e c’è il vento freddo che ti ricorda che è inverno. Però sarebbe comodo e potrei camminare tranquilla per molto tempo senza pensare al calduccio del focolare, però non lo metterei mai, no mai.
Non so più cosa dire, ho parlato del vento freddo nelle giornate invernali e di come riuscire a riscaldarsi ora sto pensando a quanto vorrei andare a casa, pranzare e mettermi a studiare, purtroppo, però non vedo l’ora di studiare, così sono a buon punto.

Meschini Andrea
5 D

Mi sono sempre domandato da dove vengono tutti i venti della terra; poiché a noi sembra facile: il vento inizia in fondo alla strada e finisce quando ci fa volare via il cappello; ma per lui? Cosa fa il vento dopo che ha riscosso il suo tributo in vestiario? Se ne va via felice in cerca di altri cappelli, o magari di una gonna da sollevare per la gioia degli altri passanti? Che poi, il vento, cosa fa alla sera quando torna a casa? Forse telefona agli altri venti per raccontargli che cosa ha combinato quel giorno? Mi ricorderò sempre un pomeriggio di qualche anno fa: in giro c’era così tanto vento che dubito ne fosse rimasto molto sul resto del pianeta.
Ce ne era davvero tanto, sì che a un certo punto, in mezzo a quelle correnti, colsi un odore che non avevo mai sentito. Era un profumo dolce, esotico, che di sicuro veniva da molto lontano. Non so perché lo feci, ma quel pomeriggio mi misi a correre. Quell’odore era troppo buono per lasciarlo volare via, così iniziai a seguirlo e ogni volta mi dicevo “Sì, questa è l’ultima, ancora un’odorata e poi me ne torno a casa”. E intanto correvo e ripetevo a me stesso che comunque non poteva continuare a lungo, che il vento veniva già da molto lontano e prima o poi si sarebbe fermato anche lui.
Fu così che visitai diverse città e molte nazioni, sempre dietro al mio vento. Certo non era molto comodo per fare turismo: ovunque andassi non potevo mai fermarmi a vedere tutti i luoghi che volevo, ma in compenso ogni volta il vento si riempiva di nuovi odori, che, mischiandosi con quelli vecchi, davano vita a una fragranza inedita che mi spingeva sempre più a continuare il mio viaggio. La cosa andò avanti per un bel po’, finché, un giorno, mi accorsi che anch’io iniziavo ad odorare dei paesi che attraversavo e non mi era più difficile seguire il vento, anche attraverso terreni scoscesi e accidentati. Anch’io ero infine diventato vento e vagavo di paese in paese in cerca di gonne e cappelli. Così finalmente seppi da dove venivano tutti i venti e, per quanto riguarda il dove vanno a finire… beh, ci sto ancora pensando.